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La Chocolate Room dell’artista pop Ed Ruscha è arrivata al Museum of Modern Art di New York. L’installazione occupa una sola stanza e dev’essere rifatta ogni volta che viene presentata, perché è completamente ricoperta da fogli di carta serigrafati con cioccolato. Ruscha creò originariamente quest’opera nel 1970 per il padiglione degli Stati Uniti durante la 35a Biennale di Venezia. Durante quel periodo, racconta Ana Torok, l’artista aveva provato a usare moltissimi tipi di sostanze insolite nelle sue incisioni e aveva perlustrato i supermercati locali alla ricerca di nuovi materiali. Alla fine vide piccoli tubetti metallici di pasta di cioccolato Nestlé che gli ricordavano i tubetti metallici dei suoi colori a olio, e così decise di usare il cioccolato, serigrafando quel cioccolato su centinaia di fogli di carta e affiancando quei fogli su tutte e quattro le pareti della stanza.
Per il debutto dell’installazione al MoMA è stata utilizzata una macchina da stampa posizionata direttamente nel museo, così da poter serigrafare manualmente la pasta di cioccolato su centinaia di fogli di carta che poi vengono immediatamente utilizzati per rivestire l’intera stanza, dal pavimento al soffitto. La Chocolate Room fa parte della retrospettiva più completa mai realizzata sul lavoro di Ed Ruscha. La mostra, recensita con entusiasmo dalla critica (qui ad esempio l’approfondito articolo del Guardian), comprende più di 200 opere. «Non ho la Senna come Monet, ho solo la US 66 tra Oklahoma e Los Angeles»: è la frase dell’artista scelta dal MoMA per introdurre la presentazione della mostra. Ed Ruscha / Now Then presenterà oltre 200 opere, tra cui pittura, disegno, stampe, fotografia, libri d’artista, film e installazioni, realizzate con materiali che vanno dalla polvere da sparo al cioccolato, e si ispirano a oggetti quotidiani e familiari, dai distributori di benzina al logo della 20th Century Fox. Esplorando i contributi fondamentali di Ruscha all’arte americana del Dopoguerra così come gli aspetti meno conosciuti della sua carriera (lunga oltre sessant’anni), la mostra offre nuove prospettive su un corpus di opere che ha influenzato generazioni di artisti, architetti, designer e scrittori.

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Di Massimo Prandi

Massimo Prandi