Cioccolato, dolci, ma anche bevande analcoliche, alcol, aceto, cosmetici, integratori e profumi: il cacao si fa sempre più amaro. Utilizzato nella sua forma più tradizionale nei dessert, ma impiegato anche attraverso le punte, il burro, le bucce e la polpa in numerosi altri prodotti che spaziano dalle bevande alle creme, i prezzi dell’oro nero proveniente dall’Africa non arrestano la loro corsa. A fine marzo hanno raggiunto i massimi storici, toccando oltre 10.000 dollari (9.234,3 euro) a tonnellata. Da inizio anno le quotazioni su Londra e New York hanno registrato rispettivamente un aumento del 170% e del 169%. E il futuro “prossimo” si prospetta in salita. Secondo infatti gli analisti di Citi “i prezzi del cacao raggiungeranno il punto più alto nel secondo trimestre di quest’anno, per poi virare al ribasso nel 2025”, al netto di un miglioramento o peggioramento delle dinamiche legate a domanda e offerta.
A oggi però la situazione resta complessa: già diverse fabbriche di trasformazione del cacao in Ghana e Costa d’Avorio hanno ridotto le loro operazioni o addirittura interrotto la lavorazione del cacao a causa dell’elevato costo dei semi. Inoltre, l’autorità regolatrice del cacao della Costa d’Avorio ha previsto una significativa riduzione del raccolto medio del Paese, stimando una diminuzione del 33% a circa 400.000 tonnellate a partire da aprile. Questo rappresenterebbe un calo significativo rispetto alle 600.000 tonnellate dello scorso anno. Allo stesso modo, anche il Ghana ha dichiarato che la sua produzione di cacao dovrebbe attestarsi intorno alle 650.000 tonnellate, registrando un calo rispetto alle 850.000 tonnellate prodotte l’anno precedente.
Ma che cosa si cela dietro a questo rally? Sicuramente le cause sono molteplici. Dal rallentamento della produzione al cambiamento climatico fino alle nuove direttive europee in tema di raccolti e agricoltura. Partiamo dal principio: i Paesi africani leader nella creazione di cacao, come Ghana e Costa d’Avorio hanno visto calare drasticamente l’offerta globale di “oro nero”, a causa dell’irrompere de El Niño, fenomeno climatico estremo che ha generato precipitazioni eccezionalmente intense nel dicembre scorso, portando alla diffusione della malattia del baccello nero, e causando danni significativi alle coltivazioni. In particolare, accentuando i venti secchi e sabbiosi provenienti dal Sahara ha ostacolato la fotosintesi, essenziale per la crescita delle colture. Il cacao infatti è una pianta estremamente suscettibile alla siccità. Una vulnerabilità che ha avuto ripercussioni non banali: gli agricoltori, spinti dal rialzo dei prezzi di manutenzione delle piante, hanno abbandonato gli alberi più vecchi.
Ma non solo. Secondo gli esperti del settore, le nuove normative europee sulla deforestazione stanno avendo un impatto significativo sulla produzione di cacao. Nel giugno del 2023, l’Unione europea ha approvato un regolamento che proibisce l’importazione e la distribuzione di prodotti derivati da coltivazioni o allevamenti che abbiano causato deforestazione. Un obiettivo più che giusto, ma che potrebbe avere conseguenze negative, specialmente per coloro che operano nella catena di fornitura di cacao. In Costa d’Avorio, ad esempio, esistono già zone in cui il cacao viene prodotto senza provocare deforestazione, ma non tutti possono permettersi di adottare pratiche agricole sostenibili.
E le aziende come si stanno muovendo in tale scenario? Che tipo di ripercussioni stanno riscontrando? Ritter Sport, azienda tedesca produttrice dell’iconica barretta di cioccolato, interpellata da Affaritaliani.it, ha messo in chiaro come la crisi del cacao stia colpendo la filiera. “I prezzi hanno raggiunto i massimi storici, quadruplicandosi dall’inizio del 2023: un chilo di cacao ora costa circa 9 euro. È evidente come questo abbia un impatto diretto sui costi di produzione di una tavoletta di cioccolato da 100 grammi, la quale contiene una quantità considerevole di cacao: 35, 50 o più grammi”. E guardando al futuro, la preoccupazione è evidente, a fronte anche di un clima in continuo peggioramento, che oltre a colpire Ghana e Costa d’Avorio, non ha risparmiato il Nicaragua, Paese in cui Ritter Sport è attiva. “Le tre annate consecutive di cattivo raccolto in Africa occidentale sono chiaramente riconducibili ai cambiamenti climatici, che stanno già causando enormi problemi ai paesi produttori di cacao: la nostra esperienza nella piantagione di proprietà “El Cacao” in Nicaragua ci ha insegnato quanto gli eventi meteorologici estremi possano danneggiare le coltivazioni e ridurre drasticamente i raccolti”.
Ma secondo chi il cacao lo “vive” e produce ogni giorno, anche se da un lato “i rendimenti delle coltivazioni non torneranno ai livelli di volume visti in passato”, l’obiettivo ora è quello di affrontare “una sfida di disponibilità a lungo termine”. Ed è proprio in questa direzione che l’azienda sta andando. “Da diversi anni, collaboriamo con i nostri partner nei programmi di cacao per rendere la coltivazione più resiliente attraverso pratiche sostenibili, come l’implementazione di sistemi agro forestali e la pratica di potatura”, consapevoli del fatto che “la crescita della domanda a livello globale rappresenta una tendenza solida che difficilmente si invertirà, alimentando il consumo di cacao”.