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Degli scienziati svizzeri hanno riprodotto in laboratorio una barretta di cioccolato artificiale. Il suo aspetto e la sua consistenza sono esattamente uguali al cioccolato tradizionale, ma il sapore sarebbe molto più fruttato, secondo quanto riportato dal sito swissinfo.ch. Come sottolineato in un video condiviso dal World Economic Forum, il grande vantaggio di questo tipo di produzione artificiale sarebbe quello di ridurre i gravi danni causati dalla deforestazione e lo sfruttamento di lavoro minorile derivante dalla crescente domanda globale di cioccolato.

Il processo di creazione artificiale inizia con la riproduzione in laboratorio di una coltura di cellule di fave di cacao. La coltura viene poi mescolata con una soluzione nutriente che dà vita a un processo di moltiplicazione. In seguito, gli scienziati raccolgono, essiccano e tostano la biomassa ottenuta, aggiungono burro di cacao, zucchero, lecitina, per produrre una barretta di cioccolato fondente al 70%.

La “creazione” avviene all’interno del laboratorio dell’Università di Scienze Applicate di Zurigo (ZHAW).

Il cioccolato artificiale è stato il risultato dell’incontro tra biotecnologi e tecnologi alimentari dell’istituto di Wädenswil. All’inizio, il team di Eibl, che trascorre la maggior parte del suo tempo a coltivare colture cellulari per l’industria farmaceutica, non ha mai avuto intenzione di creare una coltura cellulare per produrre cioccolato.
Creare il cioccolato artificiale in laboratorio, è un processo complesso.

La prima fase consiste nel pulire la superficie del frutto del cacao, poi le fave vengono estratte e aperte con un bisturi. In seguito vengono lasciate in incubazione su un terreno di coltura alla temperatura di 29°C e in assenza di luce.

Dopo circa tre settimane, si crea sulle fave tagliate una sorta di crosta ruvida, chiamata “callo”. Successivamente, questo materiale viene messo all’interno di un agitatore, in cui viene aggiunta la cosiddetta coltura in sospensione, e il tutto viene poi moltiplicato all’interno di un bioreattore. Da questa coltura cellulare è possibile poi ottenere quantità di cioccolato illimitate. È lo stesso processo che si usa per il kefir o il lievito madre: basta tenerne in vita una piccola quantità per riprodurli al bisogno.

Il cioccolato ha una cattiva reputazione per il suo forte impatto ambientale, in particolare la deforestazione, poiché gli agricoltori abbattono gli alberi più vecchi per liberare spazio per le piante di cacao. La Costa d’Avorio, che è il più grande esportatore di cacao al mondo con 2,2 milioni di tonnellate all’anno, ha perso l’80% delle sue foreste negli ultimi cinquant’anni. E le foreste che vengono disboscate per la coltivazione del cacao sono esattamente quelle che tendono ad essere le migliori fonti di carbonio e di biodiversità: gli alberi di cacao prosperano nelle foreste pluviali, dove c’è molta umidità e pioggia, temperature stabili, terreno ricco e protezione da forti venti. Tutto ciò fa sì che il cioccolato sia di fatto uno dei peggiori alimenti che si possano mangiare in termini di emissioni di gas serra, secondo solo alla carne.

 

 

Inoltre, la crescente domanda cioccolato ha fatto sì che questo prodotto si trasformasse dall’essere un bene di lusso a un bene di largo consumo, con un conseguente abbassamento dei prezzi. E per vendere il cacao a un prezzo basso, i contadini delle coltivazioni di cacao vengono pagati in media 2 dollari al giorno, ben al di sotto della soglia di povertà. Il risultato, è che spesso vengono usati i bambini in modo da poter mantenere i prezzi di esportazione competitivi. Una ricerca dell’istituto di ricerca indipendente, NORC presso l’Università di Chicago, ha rilevato che il 43% di tutti i bambini di età compresa tra i cinque e i 17 anni nelle regioni di coltivazione del cacao del Ghana e della Costa d’Avorio (i maggiori produttori di cacao al mondo) sono impegnati in lavori pericolosi.

In totale, si stima che 1,56 milioni di bambini lavorino nella produzione di cacao solo in queste due nazioni dell’Africa occidentale.

Il rapporto, commissionato dal Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti, rileva che la percentuale complessiva di bambini che lavorano è aumentata di 14 punti percentuali nell’ultimo decennio. L’aumento è accompagnato da una crescita della produzione del 62% nello stesso periodo.

A questo proposito, può essere utile ricordare che il Protocollo di Nagoya è stato istituito per far sì che i benefici tratti dalle risorse genetiche di un determinato territorio siano equamente distribuiti tra gli abitanti di quella regione. In altre parole, la ricchezza che potrà potenzialmente essere prodotta dalla produzione del cioccolato artificiale in laboratorio, potrà andare a vantaggio anche di quelle popolazioni che ad ora vivono in condizioni di estrema povertà.

L’altro vantaggio del cioccolato artificiale è che non sono necessari lunghi viaggi per il suo trasporto, né pesticidi per la sua coltivazione.

Ad oggi, però, il cioccolato coltivato in laboratorio è molto più costoso di quello tradizionale. Cento grammi di cioccolato biologico tradizionale costano circa 2,5 euro, ma la produzione su larga scala potrà ridurne il prezzo. Rispetto ai processi per la produzione di carne in laboratorio, si tratta comunque di un approccio più economico e con un minore impatto sull’ambiente.

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Di Massimo Prandi

Massimo Prandi