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La produzione di cacao sta annientando le foreste della Costa d’Avorio. Per far posto alle coltivazioni, tra il 2000 e il 2019 sono stati abbattuti 2,5 milioni di ettari (25mila Km²), un’estensione pari a quella del Rwanda. Quasi la metà della foresta umida tropicale indisturbata del Paese.

I dati emergono da un accurato studio dell’università belga di Louvain: Trasparenza, tracciabilità e deforestazione nella filiera del cacao ivoriano, pubblicato su Environmental Research Letters all’inizio di quest’anno.

I ricercatori hanno scoperto che l’approvvigionamento non tracciato è responsabile per il 60% di questa deforestazione. E che il 45% della distruzione delle foreste è stato il risultato di una produzione di cacao non regolamentata.

Ne deriva che la maggior parte del cacao (oltre il 55%) rimane non tracciata, proveniente indirettamente da intermediari locali dei principali commercianti o esportata da mercanti poco trasparenti che non rivelano informazioni sui loro fornitori (32,4%).

Il report evidenzia anche che la tracciabilità fino all’azienda agricola produttrice è insufficiente a soddisfare il requisito della legislazione europea per la geolocalizzazione delle origini dei prodotti e la sostenibilità ambientale.

E quindi che l’Unione europea importa dalla Costa d’Avorio – principale produttore mondiale -, cacao frutto di disboscamento. Lo studio, in particolare, identifica “838mila ettari di foreste abbattute nel periodo 2000-2015, associati alle importazioni dell’Ue del 2019, il 56% di questo derivante da fonti non tracciate”.

I paesi dell’Ue hanno importato il 60% dei semi di cacao ivoriani nel 2019.

Eppure la Costa d’Avorio – assieme agli altri principali produttori di cacao, Ghana e Colombia, e a 35 grandi aziende internazionali di cioccolato – ha aderito nel 2017 al Cocoa & Forests Initiative (Cfi), impegnandosi a “porre fine alla deforestazione e ripristinare le aree forestali, evitando ulteriori conversioni di terreni forestali per la produzione di cacao”.

Un’iniziativa che non funziona, denunciano i ricercatori, identificando le lacune interne al settore. In particolare i sistemi di tracciabilità guidati dalle aziende e dallo Stato. “Le informazioni che le aziende hanno sulle loro catene di approvvigionamento del cacao sono vaghe ed è difficile valutare da dove si riforniscono”.

In sostanza, conclude il rapporto, “Le aziende non sanno da dove proviene il cacao e sono quindi incapaci di valutare se la sua produzione è legata a questioni di sostenibilità, tra cui la deforestazione o il lavoro minorile. E quindi difficilmente possono agire direttamente per migliorarli”.

Ѐ necessaria più trasparenza, aggiungono i ricercatori, “e che il settore lavori oltre le singole catene di approvvigionamento, con il sostegno di politiche normative più forti e investimenti, per preservare quello che resta delle foreste in Africa occidentale”.

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Di Massimo Prandi

Massimo Prandi